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Ciao… oggi voglio scriverti di come i colori influenzino il cibo.

Chi non ama la pizza? È uno dei piatti più iconici e amati in Italia e nel mondo. Eppure, dietro una pizza  fumante  si nasconde una domanda che tutti, almeno una volta, ci siamo posti:
perché alcune pizze si digeriscono facilmente mentre altre ci lasciano gonfi, appesantiti e con sete per tutta la sera?

È un tema che riguarda direttamente la nostra esperienza quotidiana, ed è al centro del lavoro che facciamo ogni giorno al Don Pedro. Spesso, quando si parla di pizza, emergono molti luoghi comuni: la mozzarella che fila, il cornicione alto, il lievito in abbondanza… ma la digeribilità non dipende da nessuno di questi aspetti.

In questo articolo voglio guidarvi in un piccolo viaggio che unisce scienza, cultura e tradizione per spiegare perché la pizza sottile e croccante, se preparata con metodo, risulta tanto leggera quanto gustosa.

 

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La digeribilità: una parola abusata, ma che cosa significa davvero?

Quando diciamo che una pizza è digeribile, in realtà ci riferiamo a una serie di processi che avvengono prima ancora che arrivi sulla tavola.
Digeribile non vuol dire “che non gonfia subito” o “che riempie poco”. Significa che il nostro corpo riesce a scomporla e assimilarla facilmente, senza eccessivi sforzi e senza effetti collaterali.

Tre sono i fattori principali che determinano la digeribilità:

  1. La maturazione dell’impasto (cioè il tempo che lasciamo lavorare lieviti ed enzimi).
  2. La qualità e la freschezza degli ingredienti.
  3. Lo stile della pizza (più o meno spessa, con o senza cornicione, ma soprattutto come viene cotta).

 

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Non è la mozzarella che fila a fare la differenza

Uno dei luoghi comuni più diffusi è che la pizza “buona” sia quella con la mozzarella che fila. In realtà, quel filo spesso nasce dall’uso di un prodotto industriale: la pasta filante, studiata per resistere in cottura e garantire un effetto scenografico.
È comoda, certo, ma povera di gusto e meno naturale.

Il fior di latte fresco, al contrario, è più acquoso, più delicato, e in forno tende a rilasciare siero. Può sembrare un difetto agli occhi di chi vuole un’immagine “perfetta”, ma in realtà è un segno di freschezza. E il nostro corpo lo riconosce: un latticino vivo, poco trasformato, è più facile da digerire di un derivato industriale.

 

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Lievito e leggerezza: la verità che non ti aspetti

Altra convinzione sbagliata: “Più lievito metto, più la pizza cresce e diventa leggera”.
La realtà è esattamente opposta.

Il lievito non è una scorciatoia, è un innesco. Se ne usiamo troppo, otteniamo un impasto che fermenta in fretta, sì, ma che resta pieno di zuccheri e proteine complesse non scomposte. Risultato: gonfiore, sete, digestione lenta.

La nostra pizza ha un segreto: il tempo.
Quando l’impasto riposa per tanti giorni (3 per la precisione!), succede una magia.
Dentro l’impasto ci sono dei piccoli aiutanti invisibili che lavorano piano piano:

  • trasformano la farina in zuccheri più dolci,
  • rendono l’impasto più leggero per la pancia,
  • e fanno nascere il profumo e la sofficità della pizza.

Per questo al Don Pedro lasciamo l’impasto tranquillo per 72 ore: così diventa più buono e facile da digerire.

 

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Cornicione o non cornicione? Non è questo a contare

Un altro mito duro a morire riguarda il cornicione. Molti credono che un bordo alto e gonfio sia segno di qualità. Non è così.

Il cornicione è una scelta stilistica, non un indice di leggerezza:

  • La pizza napoletana ha un bordo soffice e alveolato.
  • La pizza romana, come quella che proponiamo noi, è sottile e croccante, stesa senza bordo.

Entrambe possono essere digeribili oppure pesanti, a seconda di come è stato gestito l’impasto. La leggerezza non si misura in centimetri, ma nel lavoro paziente che c’è dietro.

 

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Bufala o fior di latte? Due storie diverse

C’è poi un altro tema che genera spesso confusione: la differenza tra mozzarella di bufala e fior di latte.

  • La bufala campana DOP è ricca, saporita, con una maggiore quantità di grassi e proteine. In forno tende a rilasciare molta acqua e per questo spesso viene aggiunta a fine cottura, così mantiene intatto il suo carattere.
  • Il fior di latte, prodotto con latte vaccino, è più delicato e regolare in cottura, ed è generalmente più leggero dal punto di vista digestivo.

Non si tratta di decidere quale sia “migliore”: sono prodotti diversi, con caratteristiche diverse. La vera abilità sta nel saperli usare al momento giusto e nella quantità giusta.

La digeribilità è anche un fatto culturale

Quando parliamo di digeribilità pensiamo subito alla chimica dell’impasto o agli enzimi che lavorano. Ma non è solo scienza: è anche cultura gastronomica.

Come spiega lo storico dell’alimentazione Massimo Montanari, insieme ad Alberto Capatti, in La cucina italiana. Storia di una cultura (Laterza, 1999), la cucina italiana non è mai stata uniforme: è un mosaico di tradizioni, nate in contesti diversi e adattate alle risorse locali.

La pizza ne è l’esempio perfetto: c’è quella napoletana, soffice e con il cornicione alto; quella romana, sottile e croccante; quella in pala o al padellino. Ognuna nasce da esigenze pratiche e culturali diverse: tempi di lavoro, farine disponibili, forni a disposizione.

Ecco il punto: la digeribilità stessa diventa un fatto culturale. Una pizza è più leggera non solo perché “funziona meglio” a livello scientifico, ma perché è stata pensata, tramandata e migliorata in un certo contesto, dove il tempo e la cura dell’impasto erano parte integrante della tradizione.

In altre parole, la digeribilità non è una moda recente: è una scelta culturale che le comunità hanno costruito nel tempo, decidendo che la pizza doveva essere non solo buona, ma anche piacevole da mangiare e facile da assimilare.

 

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Una curiosità poco nota: la piscialandrea ligure

Quando si pensa alla pizza, si immagina subito Napoli. Eppure, in Liguria, esiste un piatto che molti considerano una sua “antenata”: la piscialandrea, detta anche sardenaira.

Si tratta di una focaccia condita con acciughe, aglio, olive, capperi e olio extravergine, diffusa a Sanremo già nel Quattrocento. Nessun pomodoro (arriverà solo dopo la scoperta delle Americhe) e nessuna mozzarella, ma una base che anticipa l’idea di una pasta di pane arricchita da condimenti saporiti.

È un esempio interessante di come la pizza non sia mai stata un piatto “inventato in un giorno”, ma il risultato di un lungo percorso culturale e gastronomico. E, curiosamente, la piscialandrea era già un cibo “leggero e pratico”: pochi ingredienti, tutti digeribili, pensati per nutrire senza appesantire.

La vera leggerezza nasce dal tempo

La pizza non è tutta uguale. Alcune appesantiscono, altre regalano una sensazione di sazietà pulita e leggera.
La differenza non la fanno i fili di mozzarella, i bordi gonfi o i racconti leggendari: la fa la scienza della lievitazione e la cultura della cura.

In sintesi:

  • Non è la mozzarella filante, ma la sua freschezza, a contare.
  • Non è la quantità di lievito, ma il tempo di maturazione.
  • Non è il cornicione, ma la gestione dell’impasto.
  • Non è la leggenda, ma la storia di tante tradizioni che si intrecciano.

Ed è proprio questo che cerchiamo di offrire al Don Pedro: una pizza, sottile e croccante, con 72 ore di riposo. Una pizza che unisce scienza e tradizione, che si mangia con piacere… e che si digerisce senza fatica.

 

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Cristian,
Don Pedro
Cucina trentina e pizza dal 1988

Tel: 04 65 70 20 41
https://www.pizzeriadonpedro.com/
Email: [email protected]

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